My Trip

Tripoli, a modo mio.

Sunday, January 29, 2006

BabyM e' confuso

BabyM ha 4 anni e da quando ci siamo trasferiti qui gira con un mappamondo gonfiabile per aiutarsi con l'orientamento. BabyM, diciamolo, e' confuso. Non capisce la differenza tra un paese e una citta' per cui si incazza come una bestia se io gli dico che Tripoli sta in Libia, perche' per lui Tripoli e' la Libia. Lo stivale pero' lo riconosce ed accetta il fatto che ci siano delle citta' e dei paesi, non tutti ovvimante, ma su Milano, Pescara, Firenze, Offida e Chitignano siamo arrivati ad un accordo, questi stanno tutti nello stivale, ma la Libia, quella viola, e' un altro discorso. Per confonderlo ancora di piu', BabyM, e' stato spedito alla scuola internazionale, eccheccavolo, se trauna dev'essere che trauma sia! Secondo il registro e' l'unico italiano della classe, secondo lui sono in tre: beh, in effetti lo spagnolo e' simile, dai. Sul suo mappamondo ha mappato appunto tutti i compagni di classe: la Francia, la Spagna, l'Egitto, l'Indonesia e l'Australia, ooppss, l'ufficio postale. Eh si, su questo e' intransigente, l'Australia e' in realta' l'ufficio postale, punto.
Da quando siamo qui BabyM ha subito un'involuzione del linguaggio, come succede alle persone che emigrano, che quando invecchiano marcano sempre di piu' il loro dialetto d'origine. BabyM parla dunque pescarese, tanto per intenderci, usa espressioni tipo "Ma", "que" e quando vuole essere particolarmente fine, 'ngulo', salvo poi urlare ai quattro venti: Ma, ma perche' non si puo' dire "ngulo!!!?" E poi mi chiedono perche' non frequento molto gli italiani...

Il mio incontro con Abu Nauas

Sto percorrendo Gargaresh, molestata ogni 30 secondi da BabyM, ma per fortuna non guido io. Cerco di familiarizzare con questa via, soprattutto con questa via perche' e' quella che percorro piu' spesso, quando finalmente scorgo Abu Nauas. Non ci credo, non puo' essere, eppure si controllo, ricontrollo, ferma la macchina, lo riconoscooooooo!!!!!!!!!! Abu Nauas e' un'insegna, precisamente l'insegna di una pasticceria. Probabilmente solo chi ha studiato da straniero l'arabo o il cinese, puo' capire la contentezza che ho provato. Perche' l'arabo, siamo onesti, non e' una cazzata. L'alfabeto ha 28 lettere, niente vocali, ma solo tre segni, che a seconda di dove vengano posizionati, rappresentano la a, la e e la u. Peccato che sti segni non li mette mai nessuno, perche' tutti, come dice il prof, sanno gia' come leggerle le parole. Sempre quest'uomo pero' giura che tra un anno ci sara' il miracolo e parlero' arabo. La cosa che mi lascia perplessa e' che di tutti gli expat che ci sono qui e che magari sono qui da anni, non ce n'e' uno che parli, scriva e legga in arabo. Beh, comunque se me lo dice lui io ci credo, fa niente se quando piove mi chiama per disdire la lezione perche' fa brutto tempo (notare che sono io ad andare da lui) o che quando ci decidiamo a fare lezione ci dedichiamo a mezzora di salamelecchi, mezzora di pausa caffe' e un quarto d'ora di lezione, sempre che ci sia il sole ovvimante...Io gli credo e apro di nuovo il librino di prima elementare, con la bimba sorridente in copertina e ricomincio a scrivere per l'ennesima volta tutte le 28 letterine per tre volte, perche' queste simpaticone si scrivono in modo diverso a seconda di dove cadano all'interno della parola.... ogni tanto pero' i dubbi li ho e allora cerco conforto: scusi Prof, ma lei si ricorda di qualcuno dei suoi allievi che abbia imparato a parlare arabo? E allora, tutte le volte tutte, ti tira fuori la storia dei soldati che, negli anni 60, hanno imparato l'arabo in sei mesi...ma prof io non sono un soldato e la mia compagna di corso ha gia' disertato al secondo mese. Ma io gli credo ...e allora chiudo il librino e vado a farmi un caffe'.

Wednesday, January 18, 2006

Shwea, shwea*


Eh, si si, pianin pianino (shewea, shewea appunto), dopo quasi un anno, siamo arrivati. Oltretutto, con un tempismo al limite del grottesco, siamo atterrati a Tripoli senza armi, ma con molti bagagli proprio il 26 Ottobre, giorno del lutto. In questa giornata la Libia commemora i morti per mano italiana durante il periodo nero di Graziani e le linee telefoniche e fax vengono interrotte per sei ore, probabilmente con l'intento ideale di isolarsi dal resto del mondo e di proteggersi così dai nemici. Inutile dire che il meraviglioso popolo libico non ha, neppure per un istante, manifestato al nostro arrivo il benché minimo fastidio o, peggio ancora, risentimento. Ad attenderci all'aeroporto, all'una di notte, c'era la facciotta sorridente di Mo, una persona per bene.

Da questa notte comincia la nostra avventura a Tripoli.

* Traslitterazione dall'arabo all'inglese. Vuol dire poco, pochino, ma colloquialmente si usa per dire piano, pianino.

Chi di ferretto ferisce......


Sono le otto di mattina, su Gargaresh non c’e’ un taxi manco a pagarlo e fa pure freddo. Finalmente lo trovo, non posso pure pretendere che il taxista parli una mezza lingua straniera, quindi, cellulare alla mano viene teleguidato da Youssef a destinazione. Arrivata finalmente alla base, vengo affidata ad Ibrahim che ha l’aria di pensare: eh che cazzo no eh! , ne arriva una al giorno di ste cretine????? Poi rassegnato ti carica in macchina e si presta a quei trenta secondi di conversazione obbligatoria in inglese mentre ti traghetta all’ospedale per fare la radiografia al torace.
Ibrahim non ha pazienza, sta perdendo il suo tempo con me, deve tornare al suo lavoro, quello vero. Salta la fila ordinata di donne all’accettazione, mi indica varie volte come dire, ue’ c’ho il jolly, fatemi passare dai, mentre brandisce un bel fogliettino blu, mentre tutte le altre ce l’hanno verde. Dopo un po’, una simpatica signora mi chiede di avvicinarmi al banco ed in italiano mi chiede se sono incinta.
No No cara, tranquilla, ma visto che parli italiano, io ne approfitto! E’ che ho un dubbio….
Dimmi signora!
Ehm, e’ che ho il reggiseno col ferretto, sai, per la radiografia…
Lo sguardo di sta donna non lo dimenticherò mai: 30 secondi di apnea e poi:
ma no, non ti preoccupare, fa nienteeeeeeeee!
A questo punto Ibrahim mi abbandona al mio destino di donna. Mi hanno assegnato il numero 18. Oh cristo non c’e’ il display, qua si urla ancora, aaahhhhh!!!!!! Io non so ancora contare fino a diciotto! Non faccio in tempo ad entrare in reparto che in 25 si sono già offerte di aiutarmi, si sono sforzate di parlare ogni lingua straniera conosciuta, si sono prodotte in apprezzamenti mimanti su scarpe, borsa ecc, mentre i numerelli vanno avanti. Si, si questo e’ il 15 me lo ricordo, ma poi l’oblio, il panico sale, se perdo il posto e devo rifare la fila Ibrahim m’ammazza. Poi succede l’inaspettato. La signorina chiama 16, 17, Simona, 19! Inutile descrivere le risate che hanno accompagnato la performance.
Vengo fatta entrare di corsa in una stanza con una strana cabina al centro, tipo quella delle foto tessera. Non provo neanche a spogliarmi, ma a mollare la borsa sulla sedia, si però. Vengo redarguita, ri-borsata, infilata tutta vestita ed accessoriata nella cabina, radiografata e salutata. Mentre esco rido come una pazza ripensando al ferretto…


P.S. Chiunque decida di risiedere in Libia dovra’ sottoporsi, al suo arrivo, all’esame del sangue ed alla radiografia al torace.